
Luisa Marinelli
Sono una ragazza di ventotto anni nata a Roma da genitori commercianti e con due sorelle più grandi .
Fin da piccola ho sempre dato molta importanza al gioco, al creare e ai miei hobby. Mi divertivo nel magazzino del negozio di mia madre a costruire ed inventare con scatole di scarpe, pennarelli, forbici e materiale adesivo. Sapevo che, in fondo, al mondo degli adulti, così spesso sofferente e grigio, potevo sostituirne uno mio, e forse, da quel mondo, non mi sono mai allontanata.
A undici anni cominciai a copiare i personaggi dei cartoni animati e a scrivere brevi racconti. Vedevo che disegnare mi riusciva bene, tuttavia quando cominciai a pensare che potevo anche disegnare senza copiare, seguendo la mia fantasia, mi resi conto che non avevo né la voglia, né la capacità di rappresentare il reale nei suoi rapporti strutturali, di chiaroscuro, di prospettiva.
M’iscrissi al liceo classico e abbandonai il disegno. Continuai con la facoltà di psicologia.
Attratta da sempre dall’idea che esistano realtà e possibilità oltre il visibile, m’iscrissi ad un corso di sciamanesimo che includeva pratiche energetiche cinesi, andine, yogiche, conoscenze psicoterapeutiche.
Il percorso universitario è lungo e travagliato perché attraversato da una lunga crisi di scelta prima, e da una critica verso le materie di studio, dopo. Mi ero avvicinata infatti al corso di laurea di psicologia perché la psicologia, etimologicamente parlando è lo studio (=logos) dell’anima (=psiche), ma quello che quasi esclusivamente avevo trovato nei miei libri era la presenza di un massiccio e onnipresente Freud, della statistica, della medicina-biologia, di una psicologia perennemente razionalizzante.
Ripresi a disegnare copiando principalmente da stampe di quadri. Mi affascinavano gli impressionisti, Renoir, con le sue ballerine e i suoi scorci di vita medio-borghese, ma soprattutto Gaugin. Piacevole per me è il prevalere dei colori primari, il contorno nero a definire ogni cosa, ma ancora di più la scelta dei soggetti: Tahitiane, uomini non civilizzati, fiorenti vegetazioni, iscrizioni ed idoli pagani, tradizioni popolari. Osservando i quadri del pittore, m’interessai anche alla sua vita privata: Gaugin era l’emarginato nel pieno dell’era industriale, che abbandonò famiglia e lavoro, richiamato da terre lontane e desideroso dell’’altro, del diverso, dell’originario, dell’esotismo.
Il mio interesse si rivolse anche ad altri movimenti degni di nota quali l’espressionismo, il decadentismo, l’art decò, il simbolismo, le stampe giapponesi di autori come Hiroshige.
Nel 2004 trovo impiego come hostess di cassa in un grande centro di bricolage, dove attualmente ancora lavoro. Spinta da una nuova e positiva relazione e superata la prima crisi universitaria tento il disegno indipendente. Ormai ho maturato il fatto che non solo l’esatta riproduzione della realtà è arte, ma qualsiasi cosa passi per il genio umano. Ho imparato piano, piano che l’arte è realmente QUALSIASI COSA. Quindi non solo il disegno, la poesia o la scultura, ma anche il modo di vestire, di parlare, di arredare la casa, persino di camminare. Capisco che non esistono i non-artisti, e che tutti, in fondo, lo siamo.
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